Gli appassionati del Biscione avrebbero fatto carte false per mettere le mani sul volante di una versione scoperta della MiTo. Scopriamo perché non venne apprezzata dall’ex Presidente del Gruppo FCA.
Per una volta, oseremo dire, Sergio Marchionne prese una decisione discutibile nella sua strategia commerciale in FCA. Per una intera generazione di appassionati del brand di Arese, la MiTo ha rappresentato il mix perfetto tra versatilità e sportività. Prodotta nello stabilimento di Mirafiori di Torino, la compatta di segmento B rimase in commercio 10 anni, dal 2008 al 2018.
La 147 aveva fatto faville sul mercato, ma l’erede non fu da meno, prendendo il nome dall’unione dalle sigle di Milano e Torino. Dal punto di vista stilistico era una Alfa Romeo in ogni dettaglio, a partire dalla calandra frontale. Fu costruita sul pianale modulare Small che vide la luce nel 2005 per la produzione della FIAT Grande Punto. Il Centro Stile Alfa Romeo di Arese riprese diversi elementi di design dei modelli precedenti, valorizzando la compatta al massimo. I gruppi ottici anteriori a goccia e la tecnologia a LED dei fari posteriori della MiTo ricordavano quelli della sportivissima 8C Competizione.
La MiTo sarebbe dovuta essere presentata al Salone dell’Automobile di Ginevra nel 2008. La presentazione ufficiale fu gestita via web il 14 marzo 2008 con il nome MiTo, senza il punto a separare Mi e To. La lunghezza della MiTo era di 4,06 metri, l’altezza di 1,44 metri, la larghezza di 1,72 e il passo di 2,51 metri. Si trattava di un’auto ideale in città come per lunghe percorrenze extraurbane. Ma che impatto avrebbe avuto una versione cabrio?
Alfa Romeo MiTo cabrio, il no di Marchionne
In un’epoca in cui spopolano i SUV, probabilmente, la MiTo scoperta non avrebbe fatto furore. Il motore 16V e i due 1.4 sovralimentati, due turbodiesel della famiglia Multijet e un motore T-Jet alimentato a gas erano una buona base di partenza per un po’ di vento tra i capelli. Ai tempi c’erano ancora giovani con il pallino delle vetture cabriolet.
Juan Manuel Díaz, designer argentino “papà” della MiTo, ha confessato che il progetto era stato portato avanti. “Marchionne non vedeva un mercato per questo modello. La visione di Marchione andava altrove ed era molto ampia. E la coperta era corta. Non c’erano abbastanza soldi per completare la gamma. Il problema dell’Alfa era sempre il marketing: il SUV Kamal era pronto per la produzione nel 2006, ma il progetto venne cancellato pensando che il trend dei SUV fosse finito”, ha spiegato il designer in una intervista riportata su Motor1.com.