La svolta di cui si parlava da tempo è arrivata: dal 2035 nell’Unione Europea non si venderanno più auto a benzina e diesel, in modo tale da poter privilegiare i modelli meno inquinanti. Ma è davvero un bene? La risposta è negativa e a farne le spese sarà anche l’industria del settore.
Il 2035 potrebbe sembrare una data apparentemente lontana, ma non lo è così tanto se facciamo riferimento a un’automobile, che in genere utilizziamo almeno per una decina di anni. Ed è per questo che la decisione presa dal Parlamento Europeo è destinata a fare scalpore e a condizionare anche i nostri progetti di acquisto. Entro quell’anno, infatti, non saranno più in vendita negli Stati appartenenti all’UE vetture con motore a benzina e diesel.
L’obiettivo che si desidera perseguire grazie a questa decisione è quello di incentivare la diffusione dei modelli elettrici e ridurre così lo scetticismo che molti hanno ancora in merito a questi mezzi. Un fenomeno che coinvolge ancora molti automobilisti, nonostante le colonnine di ricarica siano ormai sempre più diffuse sul nostro territorio. Ma questa mossa ha davvero effetti positivi o a beneficiarne sarà solamente l’ambiente? Purtroppo c’è anche un lato negativo dietro questo modo di agire, che non può essere sottovalutato.
Stop alle auto a benzina e diesel: è davvero una scelta così positiva?
Uno dei primi a scagliarsi contro la decisione presa dal Parlamento Europeo è uno dei maggiori rappresentanti dell’Italia a Bruxelles, il coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani, che non ha usato mezze misure. “È una decisione ideologica sbagliata – ha detto nel suo intervento a ‘Mattino 5’ -. Noi avevamo chiesto di limitare questa scelta, che va nella giusta direzione, ma che pone in difficoltà l’industria dell’auto italiana ed europea“.
Ed è proprio questo uno degli aspetti principali che non può essere trascurato: gli effetti negativi che questo avrà sulle decisioni dei consumatori, ma anche e soprattutto sull’industria del settore.
A prendere posizione a riguardo è anche un giornalista come Nicola Porro, uno che non ha mai avuto imore nell’esprimere le sue opinioni cercando di tutelare il più possibile l’interesse dei cittadini. Tra i primi a beneficiarne saranno infatti i cinesi, che ormai da anni lavorano sulle vetture elettriche.
Il rischio più che concreto è che a farne le spese non siano solo le case automobilistiche, ancora in difficoltà dopo le restrizioni legate alla pandemia, ma anche l’indotto, che dovrebbe essere in gran parte dismesso.
L’Italia rischia così di perdere, secondo i dati evidenziati recentemente dalla Clepa, l’Associazione europea della componentistica, al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030. E sappiamo bene quanto sia difficile riuscire a trovare un altro impiego in un periodo come quello che stiamo vivendo.