Si è ampiamente parlato delle conseguenze che potrebbe avere lo stop alla produzione delle auto non elettriche per il 2035: la più grave però potrebbe essere solo di natura economica, ecco perchè.
Non è stato un biennio facile per i lavoratori italiani, specie per quelli meno abbienti che a causa del Coronavirus si sono ritrovati per interi mesi a dover contare su aiuti economici. Non sempre, però, sono arrivati puntualmente e hanno lasciato intere famiglie nell’attesa. Ma a quanto pare, non è ancora finita.
A lanciare un allarme preoccupante legato al presunto stop delle auto con motori a benzina entro il 2035 richiesto dalla Comunità Europea sono anche i sindacati. Le organizzazioni sindacali hanno posto un importante problema legato a tale decisione, volta a migliorare le condizioni climatiche che mettono a rischio il pianeta.
E’ stato Federico Visentin a rappresentare Federmeccanica, che assieme ad altri sindacati – inclusi CISL, CGIL e UIL – ha presentato la sua opinione riguardo alla proposta europea: “Eliminare le auto con motore endotermico entro il 2035 è semplicemente impossibile“. Queste le dichiarazioni del sindacato, spiegando la questione sotto il profilo economico.
Il problema economico non può essere ignorato: secondo Federmeccanica e tutti gli altri sindacati che hanno parlato contro la proposta europea, il PIL italiano – così come quello di altri paesi europei – non potrebbe semplicemente reggere il colpo di uno stop anche graduale della produzione di auto non elettriche, considerando che rappresentano una importante fonte di introiti nel Bel Paese.
I numeri parlano da soli: “In Italia il settore automotive vale da solo 93 miliardi di Euro pari al 5,6% del PIL”, spiega Federmeccanica. Nel settore sono impiegate attualmente ben 2.000 aziende che contano 180.000 lavoratori che contribuiscono ad esportare auto ed altri veicoli del valore di 31 miliardi di Euro. A fare le spese della transizione ecologica però non saranno soltanto le aziende.
Infatti, il prezzo più pesante lo pagheranno come al solito i dipendenti: “Senza adeguati interventi, verranno persi tra i 73.000 ed i 63.000 posti di lavoro nel settore entro il 2030″, si legge in un’analisi dell’Anfia-Clepa-PWC. Il pianeta deve essere tutelato ma un simile prezzo non è assolutamente accettabile vista la situazione già precaria che tanti lavoratori del settore vivono dopo la pandemia e le relative misure restrittive prese negli ultimi anni.
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La soluzione? Per Federmeccanica, è ora che lo stato prenda in mano la situazione tutelando il settore per assicurare una transizione sopportabile che non si riveli un disastro economico: “Bisogna mettere in campo tutte le misure necessarie per difendere un settore importante e con una grande tradizione”, si legge nel comunicato dei sindacalisti. Questo tema sarà sicuramente di drammatica attualità negli anni a venire: speriamo che questo allarme non venga ignorato.
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