Dal prototipo dovevano nascere city car urbane. Ma nonostante le tante aspettative, non se ne fece nulla.
In greco il suo nome significa “foglia”. E, infatti, doveva essere leggera e leggiadra come una foglia. Doveva. Perché si sa, i prototipi o diventano qualcosa o diventano niente. Lei è tra quelli che sono diventati niente.
Correva l’anno 2008 quando la casa automobilistica italiana FIAT produsse questo modello che intendeva produrre in serie entro il 2010. Ma della Fiat Phylla non se ne fece nulla. La Phylla doveva essere una superutilitaria a due posti costruita con alluminio e materie bioplastiche.
Proprio il suo stile doveva colpire. La FIAT aveva immaginato un’auto giovanile e dal look accattivante. Nel progetto, oltre alla casa automobilistica torinese, erano coinvolti il Politecnico di Torino, la Camera di Commercio di Torino, l’Istituto Europeo di Design IED e l’Istituto di Arte Applicata e Design IAAD.
Ma nessuno proseguì l’idea della Fiat Phylla che, quindi, è rimasta solo un’idea non realizzata in serie.
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Con 2995 mm di lunghezza, 1610 mm di larghezza e 1500 mm di altezza, la vettura pesava 750 chilogrammi.
La Fiat Phylla era alimentata da una cella combustibile ad idrogeno da 1 kW ed è anche dotata di celle solari fotovoltaiche da 3,4 kW. Aveva un’autonomia di 220 km e, peraltro, poteva essere ricaricata a costi irrisori. Progettata per passare da 0 a 100 km/h in meno di 12 secondi e con la possibilità di raggiungere 130 km/h di velocità massima.
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Insomma, non partiva male la “ragazza”. Dal prototipo della Phylla dovevano nascere city car urbane. Ma si è fermata lì.
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