Non passa giorno senza che il mercato delle automobili non venga scosso da nuovi provvedimenti e annunci sulle emissioni. Ma di chi è davvero la colpa?
Da anni, ormai, sul banco degli imputati. Il mondo delle automobili viene considerato il principale responsabile dell’oggettivo tasso di inquinamento (e di riscaldamento globale) che affligge il mondo. Ma siamo sicuri che sia così?
Le automobili verso la “svolta green”
Non passa giorno, ormai, che i governi di vari Stati, europei e non, non prendano provvedimenti (o, più spesso, li annuncino) sulle emissioni di anidride carbonica prodotte dalle autovetture. L’Europa è intransigente sulla “svolta green”. E alcuni Paesi si stanno già muovendo autonomamente.
Dal canto loro, le case automobilistiche stanno già implementando una conversione della propria produzione. Alcune hanno fissato nel 2035 il totale passaggio all’elettrico. Altre al 2030. C’è, invece, chi corre tanto e punta al 2025-2026.
Insomma, già da tempo, anche con l’ormai rodato sistema di circolazione delle targhe alterne (soprattutto nelle metropoli) le auto sono viste come la principale fonte di emissioni di CO2 e, quindi, di inquinamento. Ma recenti studi scientifici dimostrano che, forse, siamo di fronte a un grande, gigantesco, falso storico.
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Lo studio sui cinghiali
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Secondo gli scienziati dell’Università del Queensland e dell’Università di Canterbury, infatti, inquinerebbero molto di più i cinghiali, rispetto alle autovetture. Lo studio pubblicato sulla rivista Global Change Biology sostiene infatti che i cinghiali possano rilasciare circa 4,9 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno a livello globale. L’equivalente di inquinante prodotto da 1,1 milioni di automobili.
Incredibile, ma vero. Secondo il team di ricercatori. Il gruppo di lavoro ha mappato circa 10mila aree della potenziale densità globale di cinghiali, valutando i relativi danni causati dalla specie e le consequenziali emissioni di carbonio.
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L’anidride carbonica rilasciata non solo nell’aria, ma anche sui terreni, dai suini selvatici, ha quindi dimensioni gargantuesche. Una minaccia, peraltro, per la biodiversità e la sicurezza alimentare.