Forse non tutti sanno che, la prima vera Micro Car, è stata inventata e costruita in Italia, ed il progetto, successivamente, fu venduto alla Bmw, che ne fece un’icona già oltre 65 anni fa.
Tutto nasce dal genio e dall’intuizione imprenditoriale di Renzo Rivolta che, sul finire degli anni 30, in provincia di Genova, produceva frigoriferi. Successivamente, nel 1943, spostò la fabbrica in provincia di Milano, dove, in stretta collaborazione con la Isotta Fraschini, iniziò a produrre ogni genere di elettrodomestico. Con la fine della guerra, ed il “rinascimento” economico italiano, l’imprenditore intuì che, l’esigenza del ceto medio, era quello di potersi spostare con mezzi agevoli ed economici, che garantissero la praticità di una moto, con i confort di un’auto. Così dopo aver iniziato, con la produzione di alcune motociclette che ebbero un discreto successo in quegli anni, dette vita alla ISO Autoveicoli SpA, una fabbrica riconvertita, per la produzione di automobili.
Dopo la realizzazione del primo prototipo a 3 ruote nel 1952, la versione definitiva fu esposta nel 1953 al Salone dell’automobile di Torino, suscitando grande scalpore e curiosità negli appassionati, probabilmente ancora non pronti a recepire un progetto così futuristico, tenendo conto che all’epoca, la massima espressione dell’automobilismo, in Italia era rappresentata dalla Fiat 500C Topolino. Tutto, sulla Isetta, era studiato pensando al confort degli occupanti, ed alla semplicità ed economicità di utilizzo: dall’apertura frontale per l’accesso di pilota e passeggero (due posti secchi esattamente come la nipote Smart), al motore monocilindrico di derivazione motociclistica.
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Il motore, come detto, fu preso in prestito da una moto della Iso, la 200cc, ed aumenta la cilindrata fino a 236cc, ovviamente un solo cilindro, 2 tempi con miscelatore separato, alimentato da un carburatore dell’Orto, una frizione a bagno d’olio, raffreddamento ad aria, ed un cambio a 4 marce (non prevista la retromarcia dato il peso contenuto del veicolo), e per finire: trazione posteriore senza differenziale reso superfluo per la vicinanza delle ruote posteriori, infatti prerogativa e differenza rispetto al prototipo (a tre ruote con una sola al posteriore), era la differente distanza tra le due ruote anteriori (più larghe) e le due posteriori (ravvicinate).
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La Isetta, venne messa sul mercato nel 1953, ma non riscosse il successo di vendite sperato dal suo ideatore, gli italiani ne acquistarono ben pochi esemplari, circa un migliaio, probabilmente perché questo concept all’epoca, non fu recepito, e, perché, il prezzo di vendita si avvicinava a quello di modelli di auto standard più blasonati. Fu così che, l’imprenditore Rivolta, per evitare il crollo della sua azienda, iniziò a cercare un partner, interessato all’acquisizione del suo progetto futuristico, e, lo trovo nel 1954, al salone di Ginevra, stringendo un accordo commerciale con BMW. La casa tedesca, acquisì i progetti dell’auto, e tutto il necessario per la produzione della stessa, ad eccezione del motore, ritenuto dai tedeschi poco performante, per spingere la “vetturetta” nelle Land germaniche.
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Acquisito il progetto, la Bmw, iniziò la produzione della mini car, apportando però diverse modifiche, prima fra tutte il nome: non più Isetta, ma, BMW 250, dove, 250 deriva dalla cilindrata del nuovo motore, sempre di derivazione motociclistica, ma, stavolta, 4 tempi e con 12 cavalli, invece di 9,5 della versione italiana.
Nel primo anno di produzione in Germania, contrariamente a quanto accaduto in Italia, la piccola auto del futuro ottenne un successo stratosferico, tanto da far allargare la famiglia, l’anno successivo con il modello “300”. Continuando la scalata al successo commerciale, negli anni successivi, la casa tedesca, produsse anche altre due versioni, la 600 e la 700, questa volta, con carrozzeria maggiorata e ospitalità per 4 passeggeri, e non più due come la prima versione. La produzione cessò definitivamente nel 1962.
Oggetto di culto per i collezionisti di oggi, a distanza di quasi 70 anni, la storia commerciale tra Italia e Germania, si è invertita. Infatti, oggi, entrambe le produzioni, sul mercato dei veicoli d’epoca, hanno un gran valore economico, ma, strano a dirsi, la prima versione, quella made in Italy, della ISO, viene venduta circa al doppio delle sorella tedesca.
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